Inadempimenti Covid-19 e la nuova ipotesi di mediazione obbligatoria
L’emergenza sanitaria sta tuttora ingenerando, in capo ai diversi operatori economici, tensioni economiche e finanziarie con conseguente aumento del contenzioso legato a situazioni di difficoltà nel far fronte agli impegni contrattuali assunti, specie per coloro che operano nei settori maggiormente colpiti dalle misure di contenimento.
Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle difficoltà che molte imprese, professionisti ed operatori economici hanno nel riuscire a corrispondere regolarmente i canoni di locazione, alle controversie sorte per forniture non pagate, in tutto o in parte, ai mancati regolari incassi, alle richieste di rimborso nel settore turistico-alberghiero, alle cancellazioni di eventi musicali, spettacoli, biglietti aerei ecc.
Sul punto, di recente è intervenuto il legislatore prevedendo una nuova ipotesi di mediazione obbligatoria, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale per il contenzioso relativo alle obbligazioni contrattuali inadempiute in conseguenza della pandemia.
Infatti, la legge n. 70 del 25 giugno 2020, pubblicata in G.U. il 29 giugno 2020 n. 162 ha convertito con modifiche il D.L. 30.4.20 n. 28 introducendo un’importante novità costituita dalla previsione di cui al comma 1-quater dell’art. 3, d.l. n. 28/2020, inserito in sede di conversione dalla l. n. 70/2020 che ha appunto introdotto una nuova ipotesi di mediazione c.d. “obbligatoria” aggiungendo all’art. 3 del d.l. n. 6/2020, convertito con modificazioni in L. n. 13/2020, il comma 6-ter.
All’art. 3 del d.l. 23.2.20 n. 6 convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020 n. 13 dopo il comma 6-bis è inserito il seguente comma 6-ter che recita testualmente infatti: “Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda”.
Per maggior completezza, si ricordi anche il comma 6-bis che era stato aggiunto durante l’emergenza epidemiologica dal Decreto-Legge n. 18 del 2020 il quale espressamente sancisce: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Si rileva tuttavia come il legislatore, nell’introduzione della nuova ipotesi di mediazione obbligatoria, abbia da una parte ampliato il presupposto applicativo del comma 6-ter, posto che lo stesso riguarda in maniera più ampia gli inadempimenti “dovuti al rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto o comunque disposte durante l’emergenza sanitaria da Covid-19”, e quindi non soltanto in conseguenza del rispetto delle misure di contenimento di cui al d.l. n. 6/2020, come previsto invece dal comma 6-bis.
Di contro, si segnala però che mentre il comma 6-bis fa riferimento all’esclusione della “responsabilità civile” per i danni cagionati per il mancato o ritardato adempimento di “qualsiasi obbligazione”, diversamente il comma 6-ter si riferisce alle sole controversie in materia di obbligazioni contrattuali, con la conseguenza che, stando ad una prima interpretazione letterale della norma, parrebbero escluse dalla nuova ipotesi di mediazione obbligazione le controversie derivanti da fonte diversa da quella contrattuale.
Tale interpretazione rischierebbe a nostro avviso di apparire eccessivamente rigorosa e limitativa rispetto alle finalità perseguite dal legislatore, per cui si auspica venga fatta chiarezza quanto prima, anche dalla Giurisprudenza e dalla Dottrina, in un contesto normativo già di per sé disorganico.
Ciò premesso, tale strumento deve essere in ogni caso tenuto in debita considerazione, specie dalle imprese che vogliano evitare di subire eventuali avventate iniziative da parte dei creditori.
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Angela Allevato
Decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020, conv. L. 120/2020) e le modifiche al TU della Vite e del Vino (L. n. 238/2016)
Il Decreto Semplificazioni è intervenuto su più fronti al fine di porre in essere delle misure idonee a snellire la burocrazia e ad incentivare la ripresa dell’economia, adottando delle misure specifiche in ambito agricolo e vitivinicolo.
Con riferimento a tale ultimo settore, in particolare, l’art. 43 co. 4 del D.L. n. 76/2020 già nella sua prima stesura apportava una serie di modifiche al TU della Vite e del Vino prevendendo, in particolare, l’eliminazione del termine dei 5 giorni per l’invio della comunicazione preventiva all’ufficio territoriale in relazione alla produzione del mosto cotto e taluni prodotti derivati, nonché dei meccanismi di deroga ad alcuni adempimenti dettati dal TU in caso di calamità naturali ovvero di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie, o altre cause di forza maggiore, riconosciute dall’Autorità competente ed, altresì, qualora nei suddetti casi, vengano adottati provvedimenti restrittivi da parte dell’Autorità stessa.
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni), sono entrate in vigore ulteriori modifiche alla L. n. 238/2016, contenute nel nuovo art. 43 ter.
Di seguito, pertanto, al fine di consentire una complessiva disamina delle novità normative così introdotte, riportiamo il testo degli articoli della L. n. 238/2016 oggetto delle recenti modiche, comparando la loro vecchia versione a quella nuova.
Ante D.L. n. 76/2020,
conv. L. 11 settembre 2020, n. 120 |
Post D.L. n. 76/2020, conv. L. 11 settembre 2020, n. 120 |
Art. 10 comma 1 | |
Determinazione del periodo vendemmiale e delle fermentazioni. Autorizzazione all’arricchimento | |
Il periodo entro il quale è consentito raccogliere le uve ed effettuare le fermentazioni e le rifermentazioni dei prodotti vitivinicoli è fissato dal 1º agosto al 31 dicembre di ogni anno. |
Il periodo entro il quale è consentito raccogliere le uve ed effettuare le fermentazioni e le rifermentazioni dei prodotti vitivinicoli è fissato dal 15 luglio al 31 dicembre di ogni anno.
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Art. 12 comma 2 | |
Produzione di mosto cotto | |
È altresì ammessa la produzione di mosto cotto, denominato anche «saba», «sapa» o con espressioni similari, anche ai fini della commercializzazione, previa comunicazione al competente ufficio territoriale, da effettuare almeno cinque giorni prima dell’inizio dell’attività. |
È altresì ammessa la produzione di mosto cotto, denominato anche «saba», «sapa» o con espressioni similari, anche ai fini della commercializzazione, previa comunicazione al competente ufficio territoriale. |
Art. 14 comma 1 | |
Elaborazione di taluni prodotti a base di mosti e vini, di vini liquorosi, di vini spumanti e di talune bevande spiritose negli stabilimenti promiscui. Comunicazione preventiva
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La preparazione di mosti di uve fresche mutizzati con alcol, di vini liquorosi, di prodotti vitivinicoli aromatizzati e di vini spumanti nonché la preparazione delle bevande spiritose di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), punto i), terzo trattino, e punto ii), del regolamento (CE) n. 110/2008 possono essere eseguite anche in stabilimenti dai quali si estraggono mosti o vini nella cui preparazione non è ammesso l’impiego di saccarosio, dell’acquavite di vino, dell’alcol e di tutti i prodotti consentiti dal regolamento (UE) n. 251/2014, a condizione che le lavorazioni siano preventivamente comunicate, entro il quinto giorno antecedente alla loro effettuazione, all’ufficio territoriale. | La preparazione di mosti di uve fresche mutizzati con alcol, di vini liquorosi, di prodotti vitivinicoli aromatizzati e di vini spumanti nonché la preparazione delle bevande spiritose di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), punto i), terzo trattino, e punto ii), del regolamento (CE) n. 110/2008 possono essere eseguite anche in stabilimenti dai quali si estraggono mosti o vini nella cui preparazione non è ammesso l’impiego di saccarosio, dell’acquavite di vino, dell’alcol e di tutti i prodotti consentiti dal regola-mento (UE) n. 251/2014, a condizione che le lavorazioni siano preventivamente comunicate all’ufficio territoriale. |
Art. 16 comma 2 | |
Comunicazione per la detenzione e il confezionamento
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La detenzione e il successivo confezionamento sono subordinati ad apposita comunicazione preventiva inviata all’ufficio territoriale, il quale può definire specifiche modalità volte a prevenire eventuali violazioni. | La detenzione e il successivo confezionamento sono subordinati ad apposita registrazione. L’ufficio territoriale può definire specifiche modalità volte a prevenire eventuali violazioni. |
Art. 31 comma 5 | |
Specificazioni, menzioni, vitigni e annata di produzione | |
La menzione «superiore» non può essere abbinata né alla menzione «novello» né alla menzione «riserva», fatte salve le denominazioni preesistenti. | La menzione «superiore» non può essere abbinata alla menzione «novello», fatte salve le denominazioni preesistenti. |
Art. 33 comma 1 | |
Requisiti di base per il riconoscimento delle DO e delle IG | |
Il riconoscimento della DOCG è riservato ai vini già riconosciuti a DOC e a zone espressamente delimitate o tipologie di una DOC da almeno sette anni, che siano ritenuti di particolare pregio, per le caratteristiche qualitative intrinseche e per la rinomanza commerciale acquisita, e che siano stati rivendicati, nell’ultimo biennio, da almeno il 51 per cento, inteso come media, dei soggetti che conducono vigneti dichiarati allo schedario viticolo di cui all’articolo 8 e che rappresentino almeno il 51 per cento della superficie totale dichiarata allo schedario viticolo idonea alla rivendicazione della relativa denominazione. Nel caso di passaggio di tutta una denominazione da DOC a DOCG anche le sue zone caratteristiche o tipologie vengono riconosciute come DOCG, indipendentemente dalla data del loro riconoscimento. | Il riconoscimento della DOCG è riservato ai vini già riconosciuti a DOC da almeno sette anni, che siano ritenuti di particolare pregio, per le caratteristiche qualitative intrinseche e per la rinomanza commerciale acquisita, e che siano stati rivendicati, nell’ultimo biennio, da almeno il 66 per cento, inteso come media, dei soggetti che conducono vigneti dichiarati allo schedario viticolo di cui all’articolo 8, che rappresentino almeno il 66 per cento della superficie totale dichiarata allo schedario viticolo idonea alla rivendicazione della relativa denominazione e che, negli ultimi cinque anni, siano stati certificati e imbottigliati dal 51 per cento degli operatori autorizzati, che rappresentino almeno il 66 per cento della produzione certificata di quella DOC. |
Art. 38 comma 7 | |
Riclassificazioni, declassamenti e tagli | |
Fatte salve le deroghe previste dagli specifici disciplinari di produzione ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea, il trasferimento delle partite di mosti e di vini atti a divenire DOP o IGP al di fuori della zona di produzione delimitata comporta la perdita del diritto alla rivendicazione della DOP o dell’IGP per le partite medesime. | Fatte salve le deroghe previste dagli specifici disciplinari di produzione ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea, il trasferimento delle partite di mosti e di vini atti a divenire DOP o IGP al di fuori della zona di produzione delimitata comporta la perdita del diritto alla rivendicazione della DOP o dell’IGP per le partite medesime, fatti salvi eventuali provvedimenti adottati dall’Autorità competente in caso di calamità naturali o condizioni meteorologiche sfavorevoli ovvero di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie che impediscano temporaneamente agli operatori di rispettare il disciplinare di produzione. |
Art. 38 comma 7 bis (NUOVO) | |
In caso di dichiarazione di calamità naturali ovvero di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie, o altre cause di forza maggiore, riconosciute dall’Autorità competente, che impediscano temporaneamente agli operatori di rispettare il disciplinare di produzione, è consentito imbottigliare un vino soggetto all’obbligo di cui all’articolo 35, comma 2, lettera c), al di fuori della pertinente zona geografica delimitata.
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Art. 41 comma 5 | |
Consorzi di tutela
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Le attività di cui alla lettera e) del comma 1 e alla lettera e) del comma 4 sono distinte dalle attività effettua-te dagli organismi di controllo e sono svolte, nel rispetto della normativa nazionale e dell’Unione europea, sotto il coordinamento dell’ICQRF e in raccordo con le regioni. L’attività di vigilanza di cui alla lettera e) del comma 1 e alla lettera e) del comma 4 è esplicata prevalentemente nella fase del commercio e consiste nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni a DOP e IGP. Agli agenti vigilatori incaricati dai consorzi, nell’esercizio di tali funzioni, è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza nelle forme di legge ad opera dell’autorità competente; i consorzi possono richiedere al Ministero il rilascio degli appositi tesserini di riconoscimento, sulla base della normativa vigente. Gli agenti vigilatori già in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza mantengono la qualifica stessa, salvo che intervenga espresso provvedimento di revoca. Gli agenti vigilatori in nessun modo possono effettuare attività di vigilanza sugli organismi di controllo né possono svolgere attività di autocontrollo sulle produzioni. Il consorzio è autorizzato ad accedere al SIAN per acquisire le informazioni strettamente necessarie ai fini dell’esecuzione di tali attività per la denominazione di competenza. | Le attività di cui alla lettera e) del comma 1 e alla lettera e) del comma 4 sono distinte dalle attività effettuate dagli organismi di controllo e sono svolte, nel rispetto della normativa nazionale e dell’Unione Europea, sotto il coordinamento dell’ICQRF e in raccordo con le regioni. L’attività di vigilanza di cui alla lettera e) del comma 1 e alla lettera e) del comma 4 è esplicata prevalentemente nella fase del commercio e consiste nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni a DOP e IGP. Agli agenti vigilatori incaricati dai consorzi, nell’esercizio di tali funzioni, può essere attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza nelle forme di legge ad opera dell’autorità competente; i consorzi possono richiedere al Ministero il rilascio degli appositi tesserini di riconoscimento, sulla base della normativa vigente. Gli agenti vigilatori già in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza mantengono la qualifica stessa, salvo che intervenga espresso provvedimento di revoca. Gli agenti vigilatori in nessun modo possono effettuare attività di vigilanza sugli organismi di controllo né possono svolgere attività di autocontrollo sulle produzioni. |
Art. 46 | |
Sistemi di chiusura dei contenitori | |
Il sistema di chiusura dei contenitori di capacità pari o inferiore a 60 litri deve recare, in modo indelebile e ben visibile dall’esterno, il nome, la ragione sociale o il marchio registrato dell’imbottigliatore o del produttore come definiti dalla vigente normativa dell’Unione europea o, in alternativa, il numero di codice identificativo attribuito dall’ICQRF. | ABROGATO |
Art. 64 comma 2 | |
Controlli e vigilanza sui vini a DO o IG | |
Gli organismi di controllo privati devono essere accreditati in base alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012. Le autorità pubbliche devono essere conformi ai requisiti previsti ai punti 5.1, 6.1, 7.4, 7.6, 7.7, 7.8, 7.12 e 7.13 della stessa norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012; la conformità delle medesime è verificata al momento dell’iscrizione nell’elenco, attraverso la valutazione del personale impiegato nelle verifiche della specifica DO e IG, dei membri del Comitato di certificazione, dei membri del Comitato dei ricorsi e della procedura di controllo e certificazione e, successivamente, a ogni loro modifica. Le autorità pubbliche devono adeguarsi a tali disposizioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. | Gli organismi di controllo devono essere accreditati in base alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012 e in ogni caso alla sua versione più aggiornata. Gli organismi di controllo esistenti aventi natura pubblica devono adeguarsi a tale norma entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. |
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Lucia Dalla Guarda
In vigore il D.M. 27.02.2020 recante disposizioni in materie di contrassegni per i vini DOCG e DOP
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 93 del 08.04.2020 ed in vigore dal 23.04.2020, il Decreto Ministeriale n. 2183 del 27.02.2020 ha dato attuazione al disposto dell’art. 48 comma 9 della L. n. 238/2016 relativo a “Contenitori e contrassegno per i vini a DOP e IGP”, così regolamentando la produzione e la distribuzione della c.d. “fascette”.
Le fascette consistono in quel particolare contrassegno previsto per i vini DOCG e DOC, quale ulteriore e specifica disposizione per il confezionamento di tali tipologie di vini, atta a garantire l’autenticità del prodotto quale produzione di eccellenza nazionale. Sulle stesse, infatti, viene riprodotto il sigillo della Repubblica qualificandole, per l’appunto, come “contrassegno di Stato”.
Il Decreto, poi, oltre a definire le caratteristiche della fascetta all’art. 3, introduce alcune misure di semplificazione del processo di acquisizione dei contrassegni da parte degli operatori ed opera una sensibile riduzione dei relativi costi e della tempistica di distribuzione.
Tra le principali novità si segnalano:
- la riduzione dei costi dei contrassegni, che, secondo quanto indicato dal Mipaaft, sarà da un minimo del 12% fino ad un massimo del 20%, rispetto a quelli attualmente sostenuti dagli operatori, costi che sono fissati all’art. 9 del Decreto;
- la produzione dei contrassegni prima riservata all’Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato S.p.A., viene ora consentita anche alle tipografie autorizzate, ossia quelle tipografie di cui l’IPZS può avvalersi, sentite le esigenze della filiera e in funzione della propria capacità produttiva aziendale. Tuttavia, tenuto conto che tali tipografie verranno selezionate attraverso procedure ad evidenza pubblica da parte dell’IPZS, di fatto quest’ultima manterrà una posizione di controllo. Al comma 6 dell’art. 5, poi, viene stabilito il termine di 90 giorni per l’evasione dell’ordine da parte dell’IPZS;
- per quanto riguarda la distribuzione dei contrassegni si farà riferimento agli organismi di controllo o ai Consorzi, quest’ultimi delegati dai primi per il tramite di apposite convenzioni;
- viene prevista la possibilità per le aziende titolari di codice ICQRF di ritirare, altresì, un quantitativo di contrassegni corrispondente al quantitativo di vino atto a divenire DO detenuto dall’imbottigliatore, mentre precedentemente era consentito solamente la consegna di fascette in base al prodotto certificato con allungamento dei tempi di confezionamento del prodotto. Il tutto comunque dovrà essere oggetto di tracciabilità, nonché di controllo da parte degli organismi a ciò deputati;
- viene introdotto un nuovo formato di contrassegno di piccole dimensioni per rispondere alle esigenze manifestate in tal senso dalle imprese in relazione alla varietà de formati delle bottiglie;
- viene, infine, introdotto il sistema di controllo e tracciabilità alternativo all’uso della fascetta per i vini DOP e IGT, che prevede in particolare l’apposizione in chiaro su ogni recipiente del c.d. sistema alfanumerico univoco non seriale fornito da appositi provider indicati nell’elenco istituito dal Mipaaft. L’art. 10 comma 12, inoltre, impegna il Ministero ad una futura verifica sull’implementazione delle disposizioni previste dal medesimo articolo, verifica da effettuarsi entro un anno dalla pubblicazione del documento tecnico recante le specifiche per l’emissione dei suddetti codici alfanumerici. All’esito della verifica, il Ministero, laddove ne ravvisasse la necessità, potrà adottare ulteriori misure volte a migliorare la funzionalità del sistema di controllo e tracciabilità.
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LEGGE N. 3/2012: SOVRAINDEBITAMENTO e NUOVO CODICE DELLA CRISI
Più che mai di interesse attuale risulta oggi essere la Legge n. 3 del 27.01.2012, con cui il Legislatore Italiano ha disposto alcune procedure che consentono di risolvere la situazione debitoria di privati e soggetti non fallibili in genere. L’emergenza sanitaria, con le limitazioni imposte dai vari DPCM che sono stati emanati a tutela della salute pubblica, potrà comportare ripercussioni economiche importanti per famiglie ed imprese, anche aggravando situazioni di sovraindebitamento preesistenti che potranno essere trovare una via d’uscita grazie agli istituti previsti dalla Legge n. 3/2012.
Senza presunzione di esaustività, il presente articolo mira ad evidenziare gli aspetti principali di tali istituti.
Che cos’è il sovraindebitamento?
Il sovraindebitamento consiste in una situazione di perdurante squilibrio tra gli obblighi assunti e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà in capo al debitore di adempiere alle proprie obbligazioni, ovvero la sua definitiva incapacità di adempiervi regolarmente.
Quali sono i vantaggi della Legge n. 3/2012?
Il ricorso alle procedure disciplinate dalla Legge n. 3/2012 consente al debitore di poter rinegoziare la propria situazione debitoria divenuta insostenibile e, a seguito dell’accoglimento dell’istanza da parte del Giudice, di bloccare tutte le azioni nei confronti del proprio patrimonio di quei creditori che abbiano causa o titolo anteriore.
A seguito dell’accoglimento della domanda da parte del Giudice e della compiuta esecuzione della procedura secondo quanto omologato dal Tribunale, il debitore consegue l’esdebitazione della propria situazione patrimoniale. Tale esdebitazione consegue automaticamente, con l’eccezione della Liquidazione del Patrimonio, dove dovrà essere oggetto di un autonomo e successivo procedimento.
Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento ex Legge n. 3/2012?
Possono ricorrere agli istituti della Legge n. 3/2012 i privati consumatori, gli enti privati non commerciali e gli imprenditori non fallibili, ossia che non possono essere assoggettati alle ordinarie procedure concorsuali, in quanto non svolgono attività commerciale o sono soggetti sotto la soglia fallimentare ex art. 1 R.D. n. 267/1942.
Possono, pertanto, ricorrere alle procedure ivi previste anche i piccoli imprenditori commerciali, gli imprenditori agricoli, i soci di società di persone “sotto soglia”, i professionisti e le start up innovative.
Chi non può accedere alle procedure di sovraindebitamento ex Legge 03/2012?
Sono esclusi i soggetti che possono essere sottoposti a procedura concorsuale, i soggetti che hanno già fatto ricorso agli istituti ex Legge n. 3/2012 negli ultimi 5 anni, i soggetti che, ammessi ai benefici della Legge n. 3/2012, anche per fatto a loro non imputabile, si sono visti revocare il provvedimento di ammissione, nonché i soggetti che non hanno fornito tutta la documentazione necessaria a ricostruire la loro situazione patrimoniale ed economica.
Quali sono le procedure previste della Legge n. 3/2012?
Le procedure previste dalla Legge n. 3/2012 sono tre: il Piano del Consumatore, l’Accordo del Debitore e la Liquidazione del Patrimonio.
Piano del Consumatore: consiste in una proposta del debitore di pagamento rateizzato dei propri debiti. Tale proposta può prevedere sia la cessione di parte del patrimonio del debitore, sia lo stralcio di parte dei debiti. È approvato e reso esecutivo dal Giudice tramite omologa. A tale procedura può accedere solamente il privato consumatore, da intendersi come persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
Accordo del Debitore: consiste anch’esso in una proposta del debitore, ma, a differenza del piano del consumatore, richiede l’accettazione da parta di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, quale condizione necessaria per l’omologa da parte del Giudice.
Liquidazione del Patrimonio: con tale procedura il debitore offre di adempiere ai propri debiti mettendo a disposizione tutto il suo patrimonio. Il Tribunale, pertanto, nominerà un Liquidatore, il quale avrà il compito di vendere tutti i beni del debitore, esigere o cedere i crediti, realizzare il valore economico del tutto e distribuirlo ai creditori pro quota.
Restano esclusi dalla procedura di liquidazioni:
- a) i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.;
- b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice;
- c) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’art. 170 del codice civile;
- d) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
Come si accede alle procedure di sovraindebitamento?
Ogni procedura presenta delle proprie peculiarità.
In linea generale, in ogni caso, si accede alle singole tramite una domanda da presentare al Tribunale competente (quello del luogo ove il debitore ha il centro dei suoi interessi principali: residenza, sede legale…), con il supporto dell’Organismo di Composizione della Crisi.
Mentre nella Liquidazione del Patrimonio, come sopra evidenziato, viene nominato un Liquidatore, per quanto riguarda il Piano del Consumatore e l’Accordo del Debitore, il Tribunale nominerà un Professionista Abilitato per la valutazione di fattibilità della proposta del debitore, che, se positivo, consentirà il successivo passaggio avanti all’Autorità Giurisdizionale per l’approvazione e l’omologa.
Il Giudice verificherà, altresì, l’idoneità della proposta ad assicurare il pagamento dei crediti che devono essere necessariamente soddisfatti (impignorabili ecc.), nonché verificherà che il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di potervi adempiere, aggravando il proprio sovraindebitamento anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
Ciò che andrà a valutare il Tribunale, pertanto, sarà anche un profilo di meritevolezza di accoglimento della domanda del debitore.
Ed infine, si segnale che, mentre il beneficio dell’esbeditazione consegue automaticamente al buon esito delle procedure relative al Piano del Consumatore e dell’Accordo del Debitore, con riferimento alla Liquidazione del Patrimonio, conclusa la stessa positivamente, il debitore sarà ammesso al beneficio dell’esdebitazione, cioè alla liberazione dai debiti residui, tramite apposita ed ulteriore domanda da presentare nel termine di un anno dalla chiusura della procedura. Con il provvedimento di accoglimento, il giudice dichiarerà inesigibili i crediti non soddisfatti integralmente.
Cosa sono gli Organismi di Composizione della Crisi?
Sono enti pubblici dotati dei requisiti di indipendenza e professionalità, ed iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Sono iscritti di diritto in tali registri gli Organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 580/93, e successive modificazioni, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’art. 22, comma 4, lettera a), della Legge n. 328/00, gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai.
Cosa cambia con il Codice della Crisi (D. Lgs. n. 14/2019)?
L’entrata in vigore del D. Lgs. n. 14/2019 è stata rinviata al 1° settembre 2021 per effetto del D.L. 08 aprile 2020 in attesa di conversione. Le procedure di sovraindebitamento, oggi disciplinate dalla L. n. 03/2012, troveranno, quindi, compiuta trattazione all’interno del Codice della Crisi d’Impresa, che ne assorbirà la disciplina e ne detterà significative innovazioni.
Ecco le principali novità:
- Viene introdotta l’esdebitazione del debitore nullatenente, che permette a tutti coloro che non hanno nulla di liberarsi dei debiti, per una sola volta nella vita.
- Soggetti: oltre all’elencazione dei soggetti destinatari ex art. 2 co. lett. c) del D. Lgs. 14/2019, conclusa con la formula residuale “e ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale”, all’art. 66 viene altresì individuata la famiglia come soggetto unitario e destinatario della singola procedura.
- Procedure: vengono rinominate in Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in luogo del Piano del Consumatore), Concordato Minore (in luogo dell’Accordo del Debitore) e Liquidazione Controllata (in luogo della Liquidazione del Patrimonio).
- Concordato Minore: andrà a sostituire quello che oggi è l’Accordo del Debitore e sarà riservato solamente alle imprese. Tale procedura prevede che il piano di rientro dai debiti dovrà consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale. Ai fini della sua approvazione sarà sufficiente il consenso di tanti creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
- Liquidazione Controllata: a differenza della Liquidazione del Patrimonio, l’esdebitazione conseguirà automaticamente all’esito del procedimento e non sarà necessario un nuovo intervento del Giudice.
- Assistenza Legale: esclusa per ristrutturazione dei debiti e liquidazione giudiziale, permane solo per il Concordato Minore.
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EMERGENZA CORONAVIRUS: effetti sui contratti commerciali nazionali ed internazionali e possibili strumenti di tutela. Il Covid-19 quale evento di force majeure o hardship.
La diffusione del virus Covid-19 sta impattando negativamente sui rapporti contrattuali nazionali ed internazionali, con effetti sempre più significativi sull’operatività della catena distributiva e della supply chain di molte imprese del nostro territorio, le quali sono in seria difficoltà nell’adempiere esattamente alle proprie obbligazioni contrattuali.
Molte di esse si trovano impossibilitate ad adempiere alle prestazioni contrattuali assunte in considerazione dei provvedimenti restrittivi emanati dalle Autorità – che le hanno rese impossibili o decisamente più gravose – altre imprese, invece, subiscono i gravissimi ritardi accumulati dai propri fornitori e subfornitori.
Diversi operatori economici ci hanno chiesto se e in quali termini possano legittimamente invocare la sussistenza di una “causa di forza maggiore” quale esimente di un eventuale inadempimento, ovvero di vagliare criticamente le sempre più frequenti comunicazioni ricevute, a loro volta, dai propri fornitori/subfornitori in cui questi ultimi dichiarano di non essere più in grado di adempiere ai propri obblighi contrattuali.
Con il presente articolo, si vuole fornire un primo spunto di carattere operativo, fermo restando che le azioni da intraprendere sul piano concreto andranno valutate, caso per caso, dopo aver disaminato i contratti sottoscritti, in particolare la formulazione della clausola di forza maggiore e la percorribilità di soluzioni alternative che preservino il rapporto contrattuale con la controparte.
In generale, nella prassi del commercio internazionale ed in considerazione di un quadro legislativo frammentato e disomogeneo, si ricorre alle clausole di forza maggiore e/o di “hardship” per disciplinare nel dettaglio i rimedi contrattuali a disposizione delle Parti al verificarsi di un fattore/evento esterno imprevedibile, insormontabile ed incontrollabile al momento di stipula del contratto, che si ponga quale impedimento insuperabile all’adempimento della prestazione contrattuale o, nel caso di hardship, quale semplice maggiore onerosità sopravvenuta della prestazione di una delle parti.
Tale fattore viene individuato dalle Parti contrattuali (ne sono un esempio le calamità naturali, terremoti, uragani, sommosse, guerre, scioperi nazionali, incendi, o altro evento comunque imprevedibile), e viene assunto dalle stesse talvolta quale mera causa di sospensione dell’esecuzione del contratto, altre volte quale causa di esonero per la parte che invoca la clausola di forza maggiore dall’obbligo di adempiere e/o di pagare l’eventuale risarcimento del danno in conseguenza dell’inadempimento, specie qualora tale fattore impeditivo si protragga per un certo lasso di tempo, o ancora quale fonte dell’obbligo di rinegoziare il contratto.
Nel nostro ordinamento, non esiste alcuna norma che descriva o comunque definisca in modo esplicito la fattispecie della forza maggiore. Nondimeno, diverse sono le norme interne che disciplinano le sopravvenienze contrattuali, seppur da angolature differenti quali sono quella dell’impossibilità della prestazione o del ricorrere di circostanze tali da alterare l’originario equilibrio delle prestazioni tra le parti.
Ai sensi dell’articolo 1256 c.c., rubricato “impossibilità definitiva e impossibilità temporanea”, l’obbligazione si estingue “quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
L’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla, aspetto che però va valutato non sul piano della sfera soggettiva di quest’ultimo, bensì sotto il profilo degli scopi concreti che le parti intendono soddisfare attraverso il contratto.
Nel caso in cui la prestazione sia divenuta solo parzialmente impossibile, trovano applicazione gli articoli 1258 c.c. e 1464 c.c., in forza dei quali il debitore può liberarsi dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile, mentre il creditore ha diritto ad una riduzione della controprestazione dovuta, ovvero a recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
I provvedimenti restrittivi adottati dalle Autorità per contrastare la diffusione del virus Covid-19, ed in particolare le disposizioni contenute nel d.p.c.m del 22 marzo 2020 e nel d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, si ritiene rappresentino un factum principis idoneo a rendere impossibile l’adempimento della prestazione per molte imprese, seppur nella maggior parte dei casi solo in via temporanea.
Occorre tuttavia considerare che i provvedimenti restrittivi non esimono il debitore dall’intraprendere tutte le soluzioni alternative astrattamente possibili che gli si offrono per superare i limiti imposti dai provvedimenti, fermo il pieno e totale rispetto della legge, e sempre che ciò comporti un sacrificio ragionevole per il debitore medesimo.
L’attuale emergenza sanitaria, inoltre, può aver in molti casi comportato un mutamento delle circostanze di fatto che rende l’adempimento, pur materialmente ancora possibile, particolarmente oneroso per l’una o l’altra parte del contratto. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un’impresa si veda costretta ad approvvigionarsi da fonti diverse a costi superiori.
In tale ipotesi e fermo restando che il rapporto contrattuale sia disciplinato dalla legge italiana e non abbia natura aleatoria, potrebbe soccorrere il disposto dell’articolo 1467 c.c. che trova applicazione nel caso di contratti ad esecuzione continuata, periodica, o differita.
Tale norma prescrive, infatti, che nel caso in cui la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa a causa del verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, estranei alla sfera d’azione del debitore, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto a condizione che la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto.
La parte contro la quale la risoluzione è domandata, può evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto in modo da rimuovere l’eccessiva onerosità sopravvenuta (c.d. reductio ad aequitatem). Si segnala, sul punto, che alcuni nostri clienti sono riusciti a negoziare una riduzione del canone di locazione commerciale, facendo leva proprio su tale disposizione.
Ad ogni modo, si rammenta come la valutazione dell’onerosità deve essere sopravvenuta rispetto al momento della stipula dell’accordo e risulta irrilevante se chi la invoca è già costituito in mora.
In sintesi, il rimedio della risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1467 c.c. è invocabile laddove:
- sussista un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto;
- si verifichi un aggravio patrimoniale che abbia alterato l’originario rapporto delle prestazioni, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione. Per stabilire se una prestazione è eccessivamente onerosa rispetto alla corrispettiva, secondo la Corte di Cassazione occorre confrontare il loro valore al tempo in cui sono sorte e a quello in cui devono eseguirsi (C. 5302/1998);
- l’eccessiva onerosità sia dipesa da “eventi straordinari” sotto il profilo oggettivo ed “imprevedibili” avuto riguardo invece ad un profilo soggettivo.
Sul piano internazionale, invece, si segnala come i paragrafi 6.1.2 e 7.1.7 dei Principi UNIDROIT abbiano nella sostanza recepito la prassi internazionale in materia di hardship (eccessiva onerosità sopravvenuta) e di forza maggiore, prevedendo con riguardo a quest’ultima che:
1) la parte inadempiente è esonerata da responsabilità se l’inadempimento è dovuto ad un impedimento derivante da circostanze estranee alla sua sfera di controllo, e che la stessa non era ragionevolmente tenuta a prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare o a superarne le conseguenze;
2) quando l’impedimento è solo temporaneo, l’esonero produce effetto soltanto per quel lasso di tempo che appare ragionevole, tenuto conto dell’effetto dell’impedimento sull’esecuzione del contratto.
In ipotesi di contratti internazionali a cui sia applicabile ratione materiae la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili, si segnala che l’art. 79 consente ad una parte di invocare la sussistenza di una causa di forza maggiore, quale causa di esonero della responsabilità derivante dal proprio inadempimento, in linea con la disposizione Unidroit da ultimo richiamata.
Nel testo della Convenzione, tuttavia, si aggiunge una specifica previsione relativa all’inadempimento del terzo incaricato dalla parte inadempiente di provvedere in tutto o in parte all’esecuzione del contratto, prevedendo che “Se l’inadempimento di una parte è dovuto all’inadempimento di un terzo che era stato da essa incaricato di eseguire in tutto o in parte il contratto, questa parte è esonerata dalla sua responsabilità solo se: a) ne è esonerata in virtù del paragrafo precedente; e b) il terzo da essa incaricato ne sarebbe esonerato qualora le disposizioni di tale paragrafo fossero a lui applicabili”.
Venendo ai Paesi di “common law”, si segnala come non esista una definizione normativa del concetto di forza maggiore del tutto sovrapponibile a quella sin qui delineata, ed in linea di massima si può affermare che la parte che assume l’obbligo di adempiere una prestazione, assume pure il rischio che l’adempimento di tale prestazione possa divenire significativamente più oneroso.
Ciò nonostante, anche nei sistemi di common law sono stati elaborati dei principi correttivi, valevoli anche in assenza di una clausola di forza maggiore. Nella dottrina inglese si parla di “frustration”, mentre nel diritto statunitense di “impracticability” istituto quest’ultimo che trova un fondamento nella Section 2-615 del Uniform Commercial Code.
Entrambi i principi permettono al contraente di estinguere/sospendere la propria obbligazione, allorquando la prestazione diventi impossibile per causa allo stesso non imputabile.
Tuttavia, posto che esula dallo scopo di questo articolo operare un’analisi approfondita di tali istituti, ci si limita in questa sede a raccomandare alle imprese italiane di negoziare con ancora più attenzione le clausole di forza maggiore, qualora la legge regolatrice del rapporto contrattuale sia quella di un Paese il cui ordinamento sia improntato alla c.d. “common law” poiché gli istituti di cui sopra vengono applicati in via restrittiva.
Analoga raccomandazione vale nel caso in cui la controparte contrattuale abbia sede in un Paese di diritto Islamico (soggetto alla c.d. Shari’ah). Conosciuta nella lingua araba come quwwat al-qanun, la forza maggiore ivi viene intesa come causa di giustificazione dovuta al verificarsi di un evento imprevedibile da intendersi sempre e comunque come “atto di Dio”, identificabile tanto in un fatto celeste quanto in un fatto dell’uomo al quale sia impossibile resistere.
Seppure sussista tuttora una certa disomogeneità rispetto all’accezione di forza maggiore – circostanza legata al fatto che solo taluni Paesi islamici hanno codificato in modo esplicito tale istituto – anche nel mondo islamico si assiste via via ad una graduale definizione dei confini della stessa in linea con i principi adottati nei Paesi occidentali.
Anche nei Paesi di Diritto Islamico, si può dire infatti che l’evento che ne sta alla base rileva quale causa di giustificazione laddove sia caratterizzato da tre profili: l’inevitabilità, l’imprevedibilità e l’estraneità al controllo delle parti.
Tuttavia, occorre considerare che per la Shari’ah l’istituto della forza maggiore:
- risponde ad un’esigenza di equo bilanciamento dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti, in forza dei superiori principi di equità, giustizia e sacralità;
- ricorre anche nella situazione in cui per il debitore sia divenuto impossibile adempiervi esattamente o solo in parte;
- potrebbe non comportare necessariamente la risoluzione del contratto, ma solo la sua “invalidità” e ciò sino al superamento della circostanza che ha determinato la causa di forza maggiore.
Da ultimo, appare opportuno segnalare alle imprese che la Camera di Commercio Internazionale ha recentemente aggiornato i modelli di clausola di forza maggiore (la ICC Force Majeure Clause 2003) e di hardship (la ICC Hardship Clause 2003) – le cui prime versioni erano già state elaborate nel febbraio 2013 – per disciplinare le conseguenze sul piano contrattuale derivanti dal verificarsi di un evento imprevedibile fuori dal controllo delle parti. Di seguito si riporta il link per visualizzare il contenuto delle clausole aggiornate: https://iccwbo.org/publication/icc-force-majeure-and-hardship-clauses/.
La Force Majeure Clause prevede che la parte che si trovi a non poter eseguire il contratto per il verificarsi di una causa maggiore, non è ritenuta responsabile. Sul punto, si segnala come al paragrafo 3 della versione long form, siano indicati una serie di eventi imprevisti ed imprevedibili il cui verificarsi consente alla parte inadempiente di beneficiare della presunzione di esistenza di una causa di forza maggiore (più correttamente che l’evento in questione non era ragionevolmente prevedibile al momento della conclusione del contratto e che sia “beyond its reasonable control”. Tra i vari eventi, si segnala che alla lettera e) è stato espressamente considerato il verificarsi di un’epidemia.
Diversamente, la Hardship clause consente alle parti di rinegoziare i termini degli accordi per permetterne l’adeguamento al nuovo stato di fatto, prevedendo il rimedio della risoluzione del contratto in capo alla parte che la invoca nella sola evenienza in cui le parti non raggiungano un accordo. In questo caso, infatti, l’evento imprevisto ed imprevedibile non impedisce alla parte che lo subisce di dare esecuzione al contratto, bensì semplicemente rende la sua prestazione eccessivamente onerosa rispetto alla controprestazione.
Entrambe le clausole indicano poi quali siano i comportamenti da tenere in capo alla parte che invoca l’evento di forza maggiore o di hardship, e per tale ragione si raccomanda alle imprese di negoziarne l’inserimento nel contratto con l’ausilio di un legale con esperienza nella contrattualistica internazionale.
Per eventuali informazioni, richieste o commenti restiamo a Vostra completa disposizione al seguente indirizzo mail: info@lexive.it
COVID-19 E CONTRATTI DI LOCAZIONE: Brevi risposte alle domande più frequenti dei clienti
Ai tempi dell’emergenza sanitaria il conduttore può legittimamente sospendere o ridurre il canone di locazione dell’immobile ove esercita la sua attività lavorativa?
Ad oggi e salvo non vi siano successivi interventi normativi, nonostante l’emergenza epidemiologica che investe il nostro Paese e non solo, non vi è alcun provvedimento governativo che autorizzi il conduttore a sospendere o ridurre il canone di locazione in via unilaterale. Ne consegue, pertanto, che una sospensione o riduzione del canone operata in via unilaterale dal conduttore, a rigore costituisce un inadempimento contrattuale.
Lo stesso “Decreto Cura Italia” all’art. 65 prevede a favore del conduttore un credito di imposta per l’anno 2020 pari al 60% del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 per l’affitto degli immobili riconducibili nella categoria catastale C/1 (botteghe e negozi), presupponendo in tal modo come non vi sia a livello legislativo nessun diritto per il conduttore a richiedere e ottenere la sospensione o riduzione del canone di locazione.
Vi sono strumenti giuridici ed eventuali rimedi messi a disposizione del conduttore?
Sul punto, si citano i provvedimenti governativi (il D.P.C.M 11 marzo 2020 ed il D.P.C.M. 22 marzo 2020) che si sono susseguiti, al fine di contrastare e contenere la diffusione del Covid-19, applicabili su tutto il territorio nazionale e che hanno avuto un forte impatto sui rapporti commerciali comportando la chiusura degli esercizi commerciali e la sospensione delle attività produttive, ad eccezione di quelle espressamente previste dal D.P.C.M. 22 marzo 2020.
Tali provvedimenti governativi hanno suscitato diversi dubbi in ordine alla possibilità o meno di chiedere la sospensione o riduzione dei canoni di locazione ad uso commerciale nel caso in cui i locali non fossero pienamente goduti dal conduttore, ovvero della possibilità di avvalersi degli istituti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore o dell’eccessiva onerosità della prestazione del pagamento dei canoni di locazione.
Ebbene, a tal proposito, giova menzionare l’art. 1256 c.c. il quale stabilisce che “L’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. (…)”.
Nel caso di impossibilità parziale, l’art. 1258 c.c. dispone espressamente al primo comma che “Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”.
Si precisa che affinché si configuri un’impossibilità di svolgere la prestazione è necessario che la stessa sia oggettiva (riconducibile ad una causa estranea al debitore), sopravvenuta e non prevedibile (secondo la normale diligenza rispetto a quando il debitore ha assunto e si è impegnato ad adempiere l’obbligazione), inevitabile (non superabile con i ragionevoli sforzi).
In aggiunta, si cita anche l’art. 1463 c.c. il quale nei contratti a prestazioni corrispettive dispone che in caso di impossibilità totale, il debitore impossibilitato non può chiedere la controprestazione e deve eventualmente restituire quanto ricevuto in esecuzione del contratto.
Di contro, nell’ipotesi di impossibilità parziale di cui all’art. 1464 c.c. “l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.
Preme osservare come nei casi di locazione la prestazione oggetto di maggior interesse sia quella del pagamento dei canoni di locazione e giova menzionare come la Corte di Cassazione abbia più volte sostenuto con plurime pronunce che l’obbligazione pecuniaria è sempre oggettivamente possibile, potendosi parlare piuttosto di una sola “impotenza economico-finanziaria” del debitore.
Diversamente, si parla dell’istituto giuridico dell’eccesiva onerosità sopravvenuta nelle ipotesi in cui in evento straordinario ed imprevedibile estraneo alla normale alea del contratto rende l’esecuzione della prestazione non impossibile, ma semplicemente più onerosa rispetto a quanto prevedibile prima del verificarsi dell’evento.
A tal riguardo, si cita l’art. 1467 c.c. che prevede nei casi di contratti a prestazioni corrispettive la possibilità per la parte obbligata per la quale l’adempimento diventa eccessivamente oneroso, domandare la risoluzione del contratto. L’altra parte potrà evitare la risoluzione del contratto offrendo di modificare equamente le condizioni contrattuali.
Si precisa che l’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui sopra richiede per la parte contrattuale che la invoca di provare che l’evento sopravvenuto ha determinato una sostanziale alterazione delle condizioni negoziali originariamente convenute tra le parti e della riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili. Dunque, anche in tali casi è necessario vi sia una eccessiva onerosità oggettiva della prestazione originaria, non essendo sufficiente la difficoltà economica (soggettiva) della parte tenuta ad adempiere all’obbligazione.
Non solo. Occorre altresì considerare come nel rapporto sinallagmatico tra il locatore ed il conduttore, quest’ultimo è ritenuto legittimato alla sospensione o alla riduzione del canone di locazione solo nel caso in cui il locatore sia inadempiente. Inoltre, a livello generale occorre osservare che i divieti di esercizio delle attività commerciali e produttive disposti dal Governo italiano non si riflettono sulla prestazione principale del locatore, ossia quella di mettere a disposizione del conduttore i locali idonei all’esercizio dell’attività lavorativa.
A conferma di ciò vi sono numerose pronunce giurisprudenziali che affermano come la sospensione totale o parziale dell’adempimento del conduttore è legittima solo laddove venga a mancare totalmente la controprestazione del locatore, venendosi altrimenti a costituire un’alterazione del sinallagma contrattuale con conseguente squilibrio tra le prestazioni delle parti contrattuali.
Il pagamento del canone di locazione è la principale e fondamentale obbligazione del conduttore al quale non è consentito determinare unilateralmente il canone o astenersi dal versare l’importo dovuto a tale titolo neppure nei casi in cui si verifichi una riduzione temporale o una diminuzione materiale del godimento del bene.
Occorre infatti tenere a mente che diverse pronunce di merito affermano che la sospensione totale o parziale dell’adempimento della suddetta obbligazione sia da ritenersi legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ossia quando i locali oggetto del contratto di locazione siano completamente inutilizzabili.
Quale ulteriore e diverso rimedio esperibile dal conduttore che voglia o abbia la necessità di sciogliersi dal vincolo contrattuale con il locatore, si segnala altresì la possibilità di valutare l’esercizio del diritto di recesso dal contratto di locazione, invocando i gravi motivi di cui all’art. 27 della Legge 392/1978.
Ricorrendo a tale ipotesi, il conduttore deve dare comunicazione con preavviso almeno sei mesi prima al locatore in cui devono essere specificati, a pena di validità del recesso, i gravi motivi che legittimano il recesso del conduttore e che devono essere estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili al momento della sottoscrizione del contratto di locazione e sopravvenuti, nonché tali da rendere estremamente gravosa la prosecuzione del rapporto contrattuale.
Ebbene, i gravi motivi di cui sopra devono rivestire carattere oggettivo. A tal proposito, in materia di locazione non abitativa, vi è giurisprudenza recente a sostegno della possibilità di invocare i gravi motivi che legittimano il recesso del conduttore anche nella situazione attuale di emergenza sanitaria. In effetti, il Covid-19 rappresenta un evento imprevedibile ed inevitabile e potrebbe legittimare il recesso in quanto per il suo carattere oggettivo e straordinario del fenomeno rende gravosa la prosecuzione del contratto, sempre che di tale circostanza ne venga fornita la prova e previa valutazione del caso concreto.
E se invece il conduttore non abbia interesse a sciogliere il rapporto contrattuale e di conseguenza riconsegnare l’immobile al locatore qual è il rimedio preferibile?
Posto che gli strumenti giuridici sopra citati potrebbero non essere agevolmente esperibili dal conduttore, laddove il conduttore abbia interesse alla prosecuzione del contratto si suggerisce di negoziare con il locatore un accordo scritto che preveda la sospensione e/o riduzione del pagamento dei canoni di locazione, rinegoziando i termini e le condizioni originariamente pattuiti.
Inoltre, per evitare di pagare le imposte sui canoni di locazione non riscossi è necessario che l’accordo venga registrato entro 30 giorni, compilando il modello 69 reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Compilato il modello 69 si dovrà allegare l’accordo sottoscritto tra le parti ed inviare anche via on line in attesa della riapertura degli uffici presso l’Agenzia delle Entrate in cui era avvenuta la registrazione.
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